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Titre | Trattato dell’arte della pittura, scultura ed architettura |
Auteurs | Lomazzo, Gian Paolo |
Date de rédaction | |
Date de publication originale | 1584 |
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, « Composizione di ritrarre dal naturale » (numéro VI, 51) , p. 374-377
L’uso del ritrarre dal naturale, cioè di far le immagini de gl’uomini simili a loro, sì che da chiunque gli vede siano riconosciuti per quei medesimi, credo io che sia tanto antico, che nascesse in un punto insieme con l’arte stessa del dipingere. [...] Primieramente, adunque, bisogna considerare la qualità di colui che si ha da ritrarre e secondo quella, dargli il suo particolare segno che lo dia a conoscere, come sarebbe ad uno imperatore la corona di lauro, come si vede osservato nelle statue antiche e come giudiciosamente ha osservato Tiziano ne’ Cesari ch’egli dipinse al Duca di Mantova, con lauri appresso e con bastoni in mano che denotano il suo dominio, come lo denota ancora lo scettro e le armi all’antica ; ma con certa discrettezza per levar la bruttezza de l’abito, acciò che sempre il ritratto resti bello. Per la qual cagione gl’antichi imperatori volsero nelle statove e figure essere rapresentati così armati. Talvolta anco si facevano ignudi, per accennare che l’imperatore deve essere libero e mostrare apertamente quello che è a popoli, e così che debbe essere riverito per la bontà sua e temuto per la giustizia che ministra. Secondariamente l’imperatore, sopra tutto, sì come ogni re e principe, vuol maestà et aver un’aria a tanto grado conforme, sì che spiri nobiltà e gravità, ancora che naturalmente non fosse tale. Conciosia che al pittore conviene che sempre accresca nelle faccie grandezza e maestà, coprendo il difetto del naturale, come si vede che hanno fatto gl’antichi pittori, i quali solevano sempre dissimulare et anco nascondere le imperfezioni naturali con l’arte; sì come fece ne i ritratti delle dee Zeusi, et Aurelio in quello di Pericle, dove lo rappresentò con l’elmo in testa, perché l’aveva acuta; e leggesi d’Apelle che, ritrando Antigono, gl’ascose l’occhio diffettoso. E queste parti vogliono esser osservate accuratamente da gl’intendenti. Perciò Alessandro Magno per editto pubblico commandò che niuno ardisse di ritrarlo, fuor che Apelle in pittura e Pirgotile di cavo e Lisippo in scoltura. Con tal arte si vengono gentilmente a dissimolare e ricoprire le imperfezioni et i mancamenti della natura et accrescere et ampliare le buone parti e le bellezze. Le quali parti non osservò l’antico pittor Demetrio, che fu più curioso di rappresentar la simiglianza che la bellezza. Onde gl’antichi espressero la stabilità in Catone, lo studio in Socrate, la penetrazione in Pittagora, la crudeltà e fierezza in Nerone, la clemenza e nobiltà in Ottavio, la lascivia in Eliogabalo, la durezza in Mario, la maestà in Cesare, e così in tutti gl’altri usarono sempre di far risplendere quello che la natura d’eccellente aveva concesso loro.
Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)
, « Della forma de gl’eroi, de i santi e de i filosofi, tanto antichi, quanto moderni » (numéro VII, 25) , p. 543
Antigone suo successore, ritratto da Apelle, aveva se non un occhio.
Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)
, « Della virtù del colorire » (numéro III, 1) , p. 164
[[7:voir le reste dans Zeuxis et Parrhasios]] Mi sovienne ancora di quella grandissima maraviglia del cavallo dipinto per mano d’Apelle a confusione d’alcuni pittori che lo gareggiavano, il quale tantosto che i cavalli vivi ebbero visto, cominciarono a nitrire, sbuffare, e calpestrar co’ piedi in atto d’invitarlo a combattere.
Dans :Apelle, le Cheval(Lien)
, « De la definizione della pittura » (numéro I, 1) , p. 28
E perché par’ quasi impossibil cosa, ch’un uomo solo possa tutto questo sapere soleva il prudentissimo Apelle, doppo ch’aveva dipinto alcuna cosa, la qual voleva che fosse perfetta, metterla fuori in pubblico et egli nascondervisi dietro; attendendo ciò che si giudicava de la proporzione et arte de la sua pittura; e secondo che ciascheduno giudicava di quelle cose, di ch’egli havea cognizione e pratica, così l’andava riformando; sì come per il contrario rifiutava anco il giudicio di coloro che volevano giudicar di quelle parti ch’a la sua professione non s’appartenevano, come fece al calzolaio, il qual, non contento d’aver discorso intorno al piede d’una sua figura, voleva anco dar giudicio delle altre parti, dicendogli: “ne sutor ultra crepidam”.
Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)
, « Compositione del pingere e fare i paesi diversi » (numéro VI, 61) , p. 409
Il primo che fra gli antichi esprimesse nel far paesi i folgori, i baleni, i mari et i tuoni fu Apelle, e fra i moderni italiani è stato Titiano, che ne i paesi ha espresso tutto quello che con tal arte è possibile a rappresentarsi. Anco molti altri Italiani ci sono riusciti, tra i quali Raffaello, massime nell’esprimere la tenebrosa notte, il chiaro giorno e la vaga aurora. Gaudenzio ne i sassi, grotte, rupi, monti, e caverne, nell’erbette e fiori, investigati nella sua natural bizzaria è stato felicissimo; Giorgion da Castelfranco nel dimostrar sotto le acque chiare il pesce, gl’arbori, i frutti, e cio che egli voleva con bellissima maniera; i duo Dossi nello sfuggimento di boschi con raggi del sole che per entro lampeggiano, il che fece ancora Lorenzo Lotto bergamasco et il Barnazano, che fù raro nel dimostrar, oltre l’altre cose, la munita arena, e con loro Girolamo Muziano, Paris Bordone e Francesco Vicentino il quale espresse talmente la polvere nell’aria che veramente chi la vede non la può stimar altro che da’ venti sia agitata, e massime sopra certe figure alquanto lontane da l’occhio.
Dans :Apelle et l’irreprésentable(Lien)
, "Composizione delle forme nella idea" (numéro VI, 64) , p. 419
Quantunque però sia sempre più degno di lode che fa le cose sue più accuratamente, se ben con maggior tempo, che chi le fa con prestezza e male avendo da porsi avanti a gl’occhi molte parti che’l primo non possiede, onde è scritto d’Apelle, che dicendogli talvolta uno ch’egli aveva fatto in picciolo tempo una gran pittura gli rispose che ciò ben si vedeva, sì come anco motteggiò una volta Michel Angelo il suo Vasari. E per questa parte sono stati celebrati principalmente Rafaello, Polidoro, il Parmegiano, Gaudenzio, et alcuni veneziani, parte di quali però usarono le invenzioni con colorimenti et imitazioni naturali, lasciando adietro il disegno e l’anatomia che è proprio fondamento e base delle invenzioni, sì come molti altri se ne ritrovano che così esteriormente fanno le loro invenzioni, e ne disegnano tante che oggi mai se ne fanno scartocci da speciali.
Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)
, « Di varii affetti umani » (numéro VI, 66 ) , p. 452
La Venere d’Apelle :
Pe’l viso e per le spalle iva disciolta,
La chioma d’or cui lieve aura rincrespa
Che tu con dolce man raccogli in fronte,
Faville escon da gl’occhi altere e nove,
E’l candor del bel petto irraggia il mare
E van scherzando i crudi pomi e’n l’onda.
Or tu guidando i balli e in mezzo di essi,
La lieve gonna l’aura alzando apparve
L’alto splendor dell’argentato piede,
E’l bel candor scoprì sin al ginocchio :
E mentre tenti di ammantar le piante,
Ch’altri non veggia ancor la gamba in dubio,
Le mammelle balzar dal petto ignude,
La gran beltà che l’aria rasserena
Abbagliò d’ogn’intorno e gli occhi e’l core,
E nascose il rossor che per le membra
Alme e leggiadre, qual di furto sorse.
Dans :Apelle, Vénus anadyomène
(Lien)
, « Della forma di Venere » (numéro VII, 10 ) , p. 494
Fu chiamata con diversi nomi, da\'Romani [...]. Anadiomene, quale la dipinse Apelle, ad esempio di Campaspe, in atto ch’esca dal mare, la quale, ancor che nella parte inferiore fosse dal tempo guasta, il divo Augusto consacrò, nel tempio di suo padre Cesare, Genitrice.
Dans :Apelle, Vénus anadyomène
(Lien)
, « Come tutti i moti possono per accidente venire in ciascuno, benché diversamente » (numéro II, 8) , p. 113
[[4:suit Parrhasios Peuple]] Si legge di Teon che mostrò in Oreste il furore et il dolore insieme, e di quell’altro che rappresentò in Ulisse la dissimulata pazzia, e d’Aristide Tebano, che nella donna ferita che muore allatando il fanciullo espresse la doglia et il timore ch’avea che’l fanciullo essendo mancato il latte, non succiasse il sangue. Di cui si scrive che fu il primo a esprimere queste perturbazioni d’animo, e fu poi seguito et immitato da tutti gl’altri pittori.
Dans :Aristide de Thèbes : la mère mourante, le malade(Lien)
, "Proemio de l'opera nel quale si tratta de l'eccellenza e de l'origine e progresso de la pittura", p. 14
Ora quanto fosse l’uso d’essa pittura appresso i Greci non è bisogno longamente discorerne; perché quanto si è detto della stima, e pregio in che ella era appresso Romani tutto era fatto ad imitazione de gl’istessi Greci, i quali, conosciuta l’utilità grandissima de la pittura, sempre l’ebbero in grandissimo onore e stima; sì che per niuna spesa lasciavano di comperare ciò che in essa truovavano di eccellente. Onde si legge del re Attalo che comperò una tavola d’Aristide, pittor tebano, per cento talenti, e del re Candaule, che con altretanto oro pagò una tavola di Bularco, dove in mediocre spazio era dipinto la distruzione de Magnesii; e per conchiuderla, i premij co’ i quali i Greci onoravano i pittori (come ne fanno testimonio tutte le loro istorie) e le pitture tante e così eccellenti che i Romani, nel tempo che più fiorì l’imperio riportarono da loro, assai ci dimostrano in quanto pregio eglino avessero quest’arte nobilissima.
Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)
, « Di varij affetti umani » (numéro VI, 66) , p. 420
Considerando la cagione onde sia nato quel detto antico, tanta esser la conformità della poesia con la pittura che, quasi nate ad un parto, l’una pittura loquace e l’altra poesia mutola s’appellarono e perciò che di rado è ch’ingegno atto e inclinato a qual s’è l’una di esse, non si stenda e non si compiaccia in gran maniera dell’altra parimente, io vengo a conchiuder, in fine, ciò non d’altronde cagionarsi che dall’essere amendue della natura delle cose e degli accidenti loro, in quanto è lor dato, studiose imitatrici ; questo facendo con tanto valore (parlo de’ buoni) e tanta maraviglia altrui, che le cose stesse, le quali di lor natura o molestia od orore o schifiltà porger ci sogliono, con la loro eccellente imitazione, non che ciò facino, ma in quella vece diletto et ammirazion grandissima di arrecarci hanno in costume.
Dans :Cadavres et bêtes sauvages, ou le plaisir de la représentation(Lien)
, « Composizione delle grottesche » (numéro VI, 49) , p. 367-370
Quantunque Monsignor Barbaro nel suo commento sopra Vitruvio non ammetta liberamente le grottesche, riputandole sogni e chimere della pittura, per essere composizione confusa di diverse cose, e dovendo la pittura, sì come ogn’altra cosa che si fa da gli uomini, rappresentar qualche effetto al quale sia indrizzata tutta la composizione, tuttavia, seguendo in ciò il parere di Baldessar Petrucci (sic) direi che liberamente si dovessero ammettere facendole ne gli spazij, come esso insegna nel Serlio. Perché sì come un’istoria non si può fare in aria, né senza sostegno, così né anco questi che sono una bizarria e grilo introdotto per ornamento d’essa istoria. In queste grottesche il pittore esprime le cose, ed i concetti, non con le proprie, ma con altre figure: come se vuol rappresentar uno di buona fama, farà la fama nelle grottesche allegra e splendida; s’un altro di mala fama vi farà l’istessa fama oscura e nera; e se lochi de sacrifici, vi farà sacrifici. E perché non dimostrano liberamente il concetto nostro; però dissi che non istarebbero bene in luoco di sostegno, ma si hanno da collocare ne i vacui, per ornamento et arrichimento loro. Ho udito dire da molti che Rafaello, Polidoro, il Rosso, et Perino hanno levato via parte delle grottesche antiche per non lasciar vedere le invenzioni sue ritrovate per quelle con sommo artificio. Ma non so io come si possano le grottesche levare né manco biasimare, vedendosene molte da gli antichi fatte in Roma, a Pozzuolo et a Baie, dall’imitazione delle quali eglino, sì come hanno sempre fatto in ogni altra loro invenzione, hanno riportato quell’onore che da ogniuno gli è concesso, et appreso la maniera d’esprimere anco in queste sorti di pittura così ingeniosamente i capricci e ritrovati suoi, et insegnato a gli altri a non partirsi mai dall’orme e vestigia segnate da gli antichi in ciascuna cosa, che s’imprenda a fare. Sono stati eccellenti per questa parte anco molti altri come Polidoro, Maturino, Giovanni da Udine, il Rosso, Giulio Romano, Francesco Fattore, e Perino del Vaga che furono i primi ad introdurre nelle grottesche animali, sacrifici, fogliami, festoni, trofei, et altre simili bizarrie; togliendo dalle grotte antiche dipinte da Serapione e dagli altri il più bello e vago che se ne potesse levare; d’onde ne hanno poi ornato tutta l’Italia e le altre provincie con gli altri suoi seguaci come sono stati Aurelio Busso, il Pessa, il Soncino, e Giacobo Rosignolo da Livorno, i quali hanno fatto così maravigliosamente, che veramente fanno restare confusi coloro che dicono le grottesche essere sogni, e confessare ch’essendo fatte con invenzione e diligenza, sono di grandissimo ornamento e richezza all’arte. Il Troso da Monza ne ha disegnato un libro di tante e così varie sorti, che giudico non potersi fare né imaginar più; perché egli veramente ha occupato tutto ciò che si può fare in cotal facoltà. In scoltura fu raro e principale si come si vede nelle opere sue Silvio Lucchese e nel ferro Gio. Battista Cerabalia. Però lasciamo gracchiare alcuni stitichi, che non gli vogliono ammetere, sì come genti che non avendo disegno non conoscono la bellezza et ornamento dell’arte, i quali sono come dice il verso,
Gente a cui si fa notte inanzi sera.
che pur con quelle se può legiadramente accennare la lascivia nel satiro e nella donna ignuda, l’amante giocondo nel pastore e Ninfa, la viltà dell’amante nella bellezza della sirena, la prudenza nella sfinge, e tutti gli altri concetti sotto cotali apparenze, come di sacre pitture. Ora per trattarne più distintamente, non starò ad investigar più sottilmente ciò che siano grottesche, perché non lo sa manco l’istessa verità non che lo sappiano i pittori, né di che cosa si compongono; ma dirò ben questo, prima ch’io venga alle loro composizioni, ch’egli è parere di molti dotti et esperti nelle lettere, che queste grottesche non solo siano così dette dalle grotte, perché gli antichi vi volessero talvolta ricovverarsi nascostamente per piacere e diletto con qualche sua amata; ma perché a proposito venivano fatte non altrimente che enimmi, o cifere, o figure egizie, dimandate ieroglifici, per significare alcun concetto o pensiero sotto altre figure, come noi usiamo negli emblemi e nelle imprese. E per me credo che ciò fosse perché non ci è via più accommodata, per disegnare over mostrar qual concetto si voglia della grottesca; per ciò che a lei sola nell’arte sono concessi sacrifici, trofei, i stromenti, gradi, concavi, convessi, in giro e pendenti e rilevati; et oltre di ciò tutti gli animali, fogliami, arbori, figure, uccelli, sassi, monti, fiumi, campi, cieli, tempeste, saette, tuoni, frondi, fiori, frutti, lucerne, candelieri accesi, chimere, mostri, et in somma tutto quello che si può trovare et imaginare. Ma lasciando questa curiosa investigazione che il tutto importa come sianci proposi, mi stenderò solamente a discorrere intorno alla composizione loro, la quale è di molta importanza. Imperò che si come elle si pongono in uso per libertà, così per dilettare vogliono essere fondate in sù l’autorità dell’arte, poiché non sono altro che dimostrazione d’arte e ornamento a certi suoi luochi convenienti et appartati. E che sia vero che vogliano avere sopra tutte le altre cose composizione conveniente et arte, si vede, per esempio di tanti pittori eccellenti nelle figure che non hanno potuto in questa parte conseguir lode et onore alcuno; e massime perché nell’invenzioni delle grottesche più che in ogn’altra vi corre un certo furore, et una natural bizarria, della quale essendone privi quei tali con tutta l’arte loro non fecero nulla; sì come anco poco più hanno conseguito coloro, che quantunque siano stati bizarri e capricciosi, non le hanno però saputo rappresentar con arte. Perché in ciò l’una e l’altra hanno da concorrere insieme giuntamente furia naturale et arte. La composizione, adunque, loro primamente vuole sempre aver una cotal verisimilitudine naturale, come nel mezzo di colonne arbori che sostengono candelieri, e nelle parti che hanno più del fermo e del grosso templi e simili, con simolacri e nel fondo, per basa, animali bizzarri, mostri e simili che sostengono, con ornamento di mascheroni, arpie, scale e cartozzi, che tengano del fermo. Ma se si facessero appese di sopra ad un picciolo filo come molti usano né in cima né manco dalle bande, si converrebero. Conciosa che quelle cose che con la natura in qualche parte non convengono, non possono mostrar grazia; ancora che fossero fra loro l’istessa convenienza delle cose naturali, sì come sono le grottesche. Poi si ha d’avvertire che tutti i rami e germogli piccioli abbiano un certo che di radice nei più fermi, e questi con i tronchi et i tronchi con lo stelo, non altrimenti che fiori alle frondi, queste a i tronchi, et i tronchi a lo stelo. Oltre di ciò vogliono essere ugualmente compartiti sì che più rami non siano in un luoco che in un altro, et il medesimo dico de gl’animali, mostri, ucelli, figure, fanciulli e maschere; ma tutti abbiano tra loro simbolo e convenienza. Perciò che non sarebbe bel vedere gl’animali più da una parte che da l’altra, né le figure tutte per di sopra e gl’animali per di sotto, ne le foglie o rami tutti in un luoco, ancora che fossero alquanto mischiate insieme: sì che tutte queste bizzarrie composte insieme vogliono occupare egualmente lo spazio. La grandezza delle cose ancora vuol essere conveniente secondo il paragone, come che il fanciullo paia picciolo appresso alla figura grande, e questa paia altresì picciola appresso gl’animali. Tutte le cose che vi sono debbono, sino ad una, fare il suo effetto, et essere rappresentate in modo che si conosca che non sono fatte a caso ma a studio, per far quello effetto che fanno; come sarebbe se uno uccello che vola paia fuggire da qualche fiamma o aspetto di serpe, e non vi voli sopra; ovvero che voli ad alcuna cosa che gli gradisca, come sarebbe a qualche spica di miglio, a qualche vaso di frutti e fiori, o a qualche fonte: in oltre che la figura mostri di sostenere qualche cosa, come un fregio o altra cosa postagli dinanzi; ovvero ch’ella si scaldi, o faccia altro atto con animali, e simili; come ancora pescare in una barchetta, dove si farà l’acqua rinchiusa in qualche scogli e sponde a linee sottili. Hanno d’avere i moti conformi alla natura; perché in queste grottesche pur tropo è la libertà che si piglia di rapresentar ciò che si vuole con ragione, con arte e bizarria, senza che vi si vogliano fare anco, come per il più fanno molti le invenzioni a caso e fuori di proposito col rappresentar fanciulli più grandi de gl’uomini et essi fanciulli più piccoli di certe altre figure, uccelli più grossi dei leoni e più di loro le lucerte e lumache; e così molte altre confusioni, facendo scherzar fanciulli con serpi e saltar nel fuoco ridendo, o fuggire d’uomini e d’animali in aria senza cosa che le sostenga e senza ali, e fino a i pesci senza acqua nell’aria, apiccar pesi grandissimi a sottilissimo filo, e rapresentar templi più angusti del buco d’una lucerta. Di qui nasce che così poche grottesche si veggono belle e bene intese; e per ciò non è maraviglia che alcuni, che non sanno più oltre, gli dannano. Il che non farebbono vedendo le belle che a pochi è stato concesso di fare. Chi seguirà adunque, nella composizione [di] dette grottesche, la ragione naturale, sia certo che gli riuscirà tutto felicissimamente e ne conseguirà onore e gloria. Et in ciò aprirà molto bene gli occhi del giudicio; per ciò che a mio parere più difficil’ cosa è il dar ordine ad una cosa disordinata che seguirne una ordinata, la quale, avendo seco l’ordine, non ricerca altro che ch’egli si conosca; dove in quella oltre che conviene conoscere esso ordine, bisogna ridurla dall natura disordinata all’ordinata, e così, convertendo l’istoria in favola, aggiungergli quelli ornamenti che si gli aspettano, cantarla in verso e sotto altre figure con modo più leggiardo e vago, dove quell’altra si può semplicemente in prosa con figure proprie senza altro ornato componere.
Dans :Grotesques(Lien)
, Proemio de l'opera nel quale si tratta de l'eccellenza e de l'origine e progresso de la pittura, p. 20
E finalmente Apelle, gli pose gl’ultima mano e la ridusse a la perfezione con l’aiuto de la geometria e dell’aritmetica, senza le quali diceva Panfilo, suo maestro, che niuno poteva essere pittore, sì come a tempi de nostri padri Bernardino Lovini usava di dire anch’egli che tanto era un pittore senza perspettiva, quanto uno dottore senza grammatica.
È quest’arte di tale eccellenza, che l’altezza ancora dei re e de gl’imperadori s’è inchinata ad essercitarla e non è maraviglia, perché questa è un arte a cui sono necessarie tante cose, che solo gl’uomini liberi e potenti la possono con lode essercitare, per essere quasi come un compendio de la maggior parte de le arti liberali; cioè per non potersi senza la cognizione et aiutto di molte di quelle essercitare, come de la geometria, de l’architettura, de la aritmetica, et de la perspettiva.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, « Della necessità e diffinzione dell proporzione » (numéro Libro primo, cap. IV) , p. 39-40
Non senza ragione gli antichi Greci, quando la pittura andava tutto dì ricevendo perfezione, et avicinandosi al colmo per opera di Timante, Eusenida, Aristide, Eupompo sicionio, Panfilo macedone, pittore illustre, e maestro d’Apelle, che fu il primo che congiunse con la pittura, la cognizione de le buone lettere, e più d’ogn’altro suo antecessore nel dipingere si resse con ragione et arte, considerando come tutte le cose formate, senza proporzione e misura, non potevano per alcun modo aver convenienza, né rappresentare a i riguadanti giudiziosi bellezza e grazia, solevan dire che non era possibile far buona pittura, né manco tolerabile, senza l’aiuto della geometria, e dell’aritmetica, e che per ciò era di necessità saperle. E l’istesso ancora approvava Filippo re di Macedonia.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, « Quali pitture convengano alle scuole e gimnasi, e quali convengano ad osterie e luoghi simili » (numéro Libro sesto, cap. XXVII) , p. 304
Nelle scuole d’aritmetica e geometria conviene, per essempio, Archimede quando, segnando in terra certe figure geometrice, è ucciso da i soldati di Marcello; Euclide, Proclo, Platone con la fabrica de gli specchi e, prima di lui, Pitagora, che trovò le misure, e fu inventore dell’angolo retto, et immaginò le proporzioni e concenti musicali, et ancora in cotal scola si possono rappresentare Eupompo e Panfilo, con gli altri li quali imparino a suoi scolari li fondamenti matematici, i quali sono ponti, linee, superficie e corpi, che sono li proprij fondamenti e radice della pittura, con le altre parti che se li convengono.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, "Come tutti i moti possono per accidente venire in ciascuno, benché diversamente" (numéro Libro secondo, cap. VIII) , p. 112-113
Quivi adonque può intendere il pittore in qual modo oltre ch’egli è tenuto a dimostrar le passioni abituate dell’animo per li moti, e gesti proprij, come si è detto, ha da rappresentar anco insieme, quelli che vengono per accidente, nel che consiste in gran parte il difficile di quest’arte, di mostrare in un corpo solo diversi affetti e passioni, cosa che molto era osservato appresso de pittori antichi, benché difficilmente, sì come quelli che non volevano tralasciare cosa che la natura potesse mostrare, che con l’arte sua non rappresentassero. E, con più ordine, si lege Eufranore aver fatto in Alessandro il volto e la faccia di Paride, nella quale si poteva conoscere in un tempo lui esser giudice delle Dee, amator di Elena, et uciditor di Achille, Parasio Efeso aver dipinto l’idolo de gl’Ateniesi in modo tale, che si dimostrava iracondo, ingiusto, incostante et ancora placabile, clemente, misericordioso, eccelso, glorioso, umile, feroce, e fugace. [[4:suite : Aristide et mère mourante]]
Dans :Parrhasios, Le Peuple d’Athènes(Lien)
, « Composizione di ghirlande, arbori, erbe, frutti, fiori e metalli » (numéro Libro sesto, cap. LXIV) , p. 414
E per venire a i fiori, sottoposti alla dea Flora, moglie di zefiro e fatta dea de i fiori, non solamente appresso i Greci et i Romani, ma anco appresso i Sicionij, dove furono prima trovate le ghirlande da Glicera e Pansia (sic) pittora, fatte in giro, in obliquo et in circuito acuto per dinanzi, di fiori diversi conformi tra sé di colori ; e questa furono osservate da Dominico Ghirlandaio in Toscana.
Dans :Pausias et la bouquetière Glycère(Lien)
, « Della forma di Giove » (numéro Libro settimo, cap. VII) , p. 479
Ma il maggior tempio che Giove s’avesse mai, fu quello ch’era nel monte Olimpio, al quale tutta la Grecia portava doni ; dove Cipselo, tiranno di Corinto, offerse un simulacro tutto d’oro sodo. Quivi era anco quella gran statua di porfido che di lui fece Fidia ateniese col suo discepolo Colote, a petto a cui il tempio, come che grandissimo, era piccolo ; onde parve all’artefice che male avesse osservato la proporzione del loco, perché lo fece che, sedendo, toccava col capo l’alto tetto, e vide chiaramente che, se dirizzato l’avesse, sarebbe stato più alto assai del tempio. Con tutto ciò questa statua, come scrive Quintiliano, accrebbe molto di religione a Giove, per la divina maestà ch’in essa espresse secondo l’esempio di Omero.
Dans :Phidias, Zeus et Athéna(Lien)
, « Della forza et efficacia dei moti » (numéro II, 1) , p. 95-96
E non solamente questi moti così vivamente dal naturale espressi in una figura apportano grazia, ma fanno anco il medesimo effetto che sogliono fare i naturali. Perciò che, si come naturalmente uno che rida, o pianga, o faccia altro effetto, muove, per il più, gli altri che lo veggono al medesimo affetto d’allegrezza o di dolore, onde diceva colui, « si vis me flere dolendum est primum ipsi tibi, tunc tua me infortunia ledent » ; così, et non altrimenti, una pittura rappresentata, come dianci diceva, con moti al naturale ritratti, farà senza dubbio ridere con chi ride, pensare con chi pensa, rammaricarsi con chi piange, rallegrarsi e gioire con chi s’allegra ; et oltre di ciò maravigliarsi con chi si maraviglia, desiderare una bella giovane per moglie vedendone una nuda, compatire con chi s’affligga, et anco in pigliar di mangiare vedendo chi mangi di preziosi e delicati cibi, cader di sono vedendo chi dolcemente dorma, commoversi ne l’animo e quasi entrar in furore con quelli che si veggono combattere animosamente in battaglia, espressi coi propri e convenienti moti, muoversi a sdegno et a stomaco di quelli da cui veggono fare cosa lorda e disonesta, e simili altri effetti infiniti. I quali veramente non sono di minor meraviglia, e stupore al mondo che si siano quelle maraviglie de gl’antichi musici che, suonando, a sua voglia solevano incitar gl’uomini a furore et a sdegno, incitare agl’amori, all’armi, all’onorate imprese, et a cotali altri affetti.
Dans :Polos, si vis me flere(Lien)
, « Come il corpo ancora si muta per modo d’imitazione » (numéro II, 6) , p. 106
Le passioni dell’animo mutano ancora il corpo per la virtù c’ha l’animo umano appassionato di trasmutare il corpo, la qual virtù è mossa dalla veemente imaginazione, sì come avviene in un gran stupore per qualche cosa veduta e udita. Nel che si ha d’avvertire, soprattuto, di far proporzionati al moto della principal passione che si finge nella figura gl’altri che gli vengono in consequenza, secondo la forza con ch’ella gli commuove, che così non si vedranno tante discordanze, come in molti luoghi dipinti si veggono, dove, non essendo questa proporzione e corrispondenza de i moti e dell’affetto principale che si ha da rappresentar nella figura, secondo il prescritto dell’istoria, si può dir veramente che paiono più tosto in sogni e cose fatte a caso, senza considerazione, che dimostrazioni di veridica istoria, o di rappresentazione imaginate con debite ragioni e figure introdotte con proporzionata ragione. Ma perché molti sono questi effetti che principalmente muovono, per darne qualche chiarezza ne darò alcuni esempij, con quali spero si verrà a dar tal lume a professori di quest’arte, che intenderanno non potersi in alcuna istoria rappresentare figura che non sia mossa per virtù d’alcun altra, sì come quella da un’altra, la quale, essendo la principale, anch’essa vien mossa dal principal moto della passione, overro dallo spettacolo. E però vediamo che uno che racconti un qualche caso maraviglioso ad altri, egli principalmente si muove secondo la natura di quello che racconta, e gli ascoltanti chi più e chi meno, mossi con lui da quei medesimi moti, fanno col corpo simiglianti effetti ; così avviene in tutti i casi, perché si veggono diversamente ne i bellicosi motti fieri, ne i dolenti mesti, ne’ pietosi compassionevoli, ne’ cappriciosi ridicoli e ne gl’allegri spensierati e contenti : sì come vedesi, per esempio, in uno che, ridendo, narri qualche facezia, incita gl’altri a ridere.
Dans :Polos, si vis me flere(Lien)
, « De la forma di Venere » (numéro Libro settimo, cap. X) , p. 490
Perché Afrodite la chiamano i Greci dalla spiuma. Virgilio, parimenti, fa che Nettuno così risponde a lei quando ella lo prega a volere ormai acquetare la tempesta del mare ch’avea assalito il suo figliuolo Enea:
Giusto è che ne’ miei regni tu ti fidi,
Perché tu già di questi nata sei.
Il che volendo mostrare gl’antichi, la dipingevano ch’ella quindi usciva fuori, stando in una gran conca marina, giovane e bella quanto era possibile, e tutta ignuda. E le diedero la conca marina, perché, come dice Giuba, nel congiungersi col maschio tutta si apre e si mostra, per alludere a quello che si fa ne’ piaceri amorosi. Fu fatta tutta ignuda perché rende ignudi coloro che la imitano e per mostrare quello a ch’ella è sempre apparecchiata, et ancora per dar a divedere che chi va dietro a lascivi piaceri rimane spesso spogliato e privo d’ogni bene, avendo perso le ricchezze, il corpo indebolito e l’animo macchiato, sì che nulla ha più di bello; et oltre di ciò per farci conoscere che i furti amorosi non possono stare occulti sempre; laonde, o per questa o per qual altra cagion si fosse, Prassitele fece a Gnidij quella sua tanto celebrata Venere nuda di marmo bianchissimo; tanto bella, che molti vi navigavano per vederla; di cui come scrivono Luciano e Plinio, se ne innamorò uno si fattamente, che gli lasciò in un fianco la macchia del desiderio suo. E di questo parere vogliono molti che sia la statua per la maravigliosa bellezza che si ritrova in lei la quale è ora in Roma, ch’anch’io ho veduta.
Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)
, "Della forma di Venere" (numéro Libro settimo, cap. X) , p. 494
Ma oltre diverse altre forme e figure di questa dea, che secondo diversi nomi gli furono attribuite, o secondo alcuno suo effetto, le quali lungo sarebbe a ricordare ad una ad una, ve ne sono alcune ch’in verun modo non debbono essere tralasciate. Fra le quali fu quella dipinta da Nicearco fra le Grazie e gl’Amori et un’altra di mano di Nealce; ma la più bella che fra gl’antichi si trovasse, fin a quel tempo, fu quella che scolpì in marmo Fidia, la quale già si trovò nell’opere di Ottavia in Roma. Quelli di Coo n’ebbero una di mano di Prassitele, vestita, la quale tennero più bella di quella della quale erano possessori che poi fu portata in Gnido di mano del medesimo maestro.
Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)
, « Di alcuni motti di cavalli » (numéro II, 19) , p. 155
Concludo finalmente che d’ogni sorte di moto se nè può trovar un’ essempio appresso a’ buoni poeti cosi latini come toscani […]. Basti d’aver accennato questi pochi, secondo che di sopra promisi di dover fare; acciò che si conoscesse in qual modo sopra tutto si hanno da dare a cavalli i moti convenienti, e corrispondenti a gl’atti che fanno, si come Leonardo principalmente ne designò gran parte, il quale in questa parte è stato principale fra i moderni, e fra gl’antichi forsi ha superato Nealze pittore il quale, avendo come unico ch’egli era in questo, dipinto un’ cavallo stracco, gli volle far’ ancora la schiuma alla bocca, nel modo che si legge.
Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)
, « Composizione di mestizia » (numéro VI, 35) , p. 317-318
Non è dubbio alcuno che, secondo le persone e loro qualità più atte alla mestizia, il pianto et il dolore si vuole distribuire e dimostrare; come già bene fece Timante cipriotto in quella tavola nella quale egli superò Collocritico, dove, avendo fatto nel sacrificio di Ifigenia Calcante mesto, Ulisse molto più, e consumato tutta l’arte e ingegno in Meneleo abbattuto dal dolore, e spesi tutti gli affetti, non ritrovando in che modo degnamente potesse rappresentare il volto del padre mestissimo, gli coperse la faccia co’ panni, lasciando più da pensare nell’animo la grandezza del dolore suo a riguardanti, che non averebbe egli potuto esprimere col penello. Donde piglieranno esempio i pittori nel distribuire questa mestizia e pianto, dipingendo la Crucifissione di Cristo, di esprimere nella Madre il sommo dolore, maggiore che in tutti gli altri circostanti alla Croce; doppo in Giovanni molto più che nelle Marie, sì come più prossimo era a Cristo per santità e parentato; poi nella Maddalena, dietro a lei in Marta e nelle altre, secondo le loro qualità, in qual più et in qual meno.
Et in queste composizioni sempre resterà estremamente lodato colui che mostrera alcuno in atto che ti guardi piangendo, come che ti voglia dire la causa del suo dolore e moverti a participar della doglia sua, mentre che alla cosa per cui si piange e si addolora gli altri guardano in atti tutti mesti e convenienti all’offizio loro.
Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)
, « Della proporzione del corpo virile di otto teste » (numéro Libro primo, cap. X) , p. 52-53
Zeusi anch’egli si tenne vergognato per la naturalezza, a dir così, dell’uva e per il mancamento nel fanciullo.
Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)
, « Della virtù del colorire » (numéro Libro terzo, cap. I) , p. 164-165
Non è dubbio, che tutte le cose ben formate, e condotte per disegno e doppoi colorite secondo l’ordine loro non rendano il medesimo aspetto che rende la natura istessa in quel moto, o gesto, peroché sino a gli cani vedendo altri cani dipinti dietro gl’abbaiano, quasi chiamandogli, e sfidandogli, credendo che siano vivi per la sola apparenza, non altrimenti che facciano vedendo se stessi in uno specchio; come si narra aver fatto un cane che ne guastò uno ch’aveva dipinto Gaudenzio sopra una tavola di un Christo che portava la Croce, a Canobio. E si legge gli ucelli esser volati ad altri uccelli perfettamente rappresentati, come fecero quelle pernici, che volarono alla pernice dipinta da Parrasio sopra una colonna nell’isola di Rodi. Racontano gl’istorici, che fu già dipinto un drago in Roma, così naturale, nel triumvirato, che fece cessar gl’uccelli dal canto. E fu cosa più maravigliosa quella pittura nel teatro di Claudio il bello; ove si dice che gli volarono negl’occhi i corvi ingannati dall’apparenza delle tegole finte, e volsero uscire per quelle finestre finte, con grandissima maraviglia e riso dei riguardanti. È istoria nota a ciascuno di Zeusi che dipinse certi grappi d’uva tanto naturali, che nella piazza del teatro vi volarono gli uccelli per beccargli, e ch’egli medesimo restò poi ingannato del velo, che contra que’ grappi d’uva avea dipinto Parrasio. Mi sovviene ancora di quella grandissima maraviglia del cavallo dipinto per mano d’Apelle a confusione d’alcuni pittori che lo gareggiavano, il quale tantosto che i cavalli vivi ebbero visto, cominciarono a nitrire, sbuffare e calpestrar co’ piedi in atto d’invitarlo a combattere. L’istesso Apelle dipinse quel mirabile Alessandro col folgore in mano, il qual mostrava tanto rilievo. In Roma a giorni nostri in Transtevero si vedono dipinti da Baltasar da Siena certi fanciuletti che paiono di stucco, talché hanno gabbato talvolta l’istessi pittori; i quali essempi, con tutti gl’altri che si leggono della virtù del colorire, facilmente si possono ammetter per veri, poiché anco a i tempi moderni Andrea Mantegna ingannò il suo maestro con una mosca dipinta sopra al ciglio d’un leone; et un certo altro pittore dipinse un papagallo così naturale, che levò il canto a un papagallo vero. E sanno molti che Bramantino espresse in certo loco di Milano, nella Porta Vercelliana un famiglio così naturale, che i cavalli non cessarono mai di lanciargli calzi, sinché non gli rimase più forma d’uomo. E’l Barnazano, eccellente in far paesi, rappresentò certi fragoli in un paese, sopra il muro, così naturali, che gli pavoni gli beccarono, credendoli naturali e veri; et il medesimo in una tavola dipinta da Cesare da Sesto, del battesimo di Cristo, nella quale fece i paesi, dipinse sopra le erbe alcuni ucelli tanto naturali, che essendo posta quella tavola fuori al sole, alcuni ucelli gli volarono intorno credendogli vivi e veri; la quale si truova ora appresso il Sig. Prospero Visconte, cavalier milanese ornato di belle lettere.
Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)
, « Della forma di Giunone, dea dell’aria, e delle sue ninfe » (numéro Libro settimo, cap. XIV) , p. 507
Ma chi volesse cercare esattamente tutte le sue forme non ne trovarebbe facilmente il fine, massime se cercar volesse quelle che fecero Dionisio e Policleto di marmo, e quelle che furono nel tempio di Giunone Lacinia, appresso gli Agrigentini, nel quale fu anco quella tavola di Zeusi ch’egli dipinse togliendo le più belle parti di cinque vergini, scelte fra tutte le più belle Agrigentine, di quella di rame fatta da Beda, cosí eccellente che i Romani la posero nel tempio della Concordia.
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)